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Referendum Giustizia del 12 giugno: le ragioni del NO

08/06/2022   lavoro
Qui di seguito pubblichiamo una nota dell’On. Alfredo Bazoli, Capogruppo PD in Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, presentato alla Direzione regionale del PD lombardo del 23/05 u.s.

I referendum sulla giustizia sono presentati dai promotori come il vero strumento per una riforma importante ed efficace della giustizia.
Sfortunatamente non è così.

Si tratta di quesiti molto tecnici, molto settoriali, molto specifici, nessuno dei quali incide minimamente sul problema numero uno della giustizia italiana, ovvero la lunghezza dei processi.

Il Partito Democratico ha dato come orientamento di voto il NO: su due quesiti perché non ne condividiamo il merito, sugli altri tre perché si tratta di temi che vengono affrontati e risolti, molto meglio, dalla riforma in corso di approvazione in Parlamento.
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1) Abolizione della legge Severino
Viene giustificata con l’esigenza di eliminare la previsione di decadenza per gli Amministratori locali dopo una sentenza di condanna di primo grado.
Però si abroga l’intera legge, non solo la parte sugli Amministratori locali, comprese le norme che, per chi abbia avuto una condanna definitiva per reati gravi, comportano l’automatica incandidabilità e decadenza da Parlamento e Governo. Insomma, si interviene con l’accetta buttando il bambino con l’acqua sporca.
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2) Misure cautelari
Punta ad eliminare il requisito della reiterazione del reato tra le esigenze che possono giustificare le misure cautelari (non solo la custodia cautelare come viene detto). Si priva così la Magistratura di uno strumento importante a garanzia della sicurezza pubblica: non sarà più possibile neppure un obbligo di firma, gli arresti domiciliari, il divieto di avvicinamento, la sospensione dall’esercizio di una attività economica, per reati come il furto in appartamento, lo spaccio di droga, la truffa, lo stalking, reati fiscali e finanziari.
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3) Separazione delle funzioni
Il Referendum propone di impedire il passaggio di funzioni da PM a giudicante e viceversa. Ma già la riforma in approvazione riduce i passaggi dai 4 attuali a uno solo. Che è meglio di zero, perché si raggiunge lo stesso obiettivo – carriere più distinte che garantiscono maggiore professionalità – ma si consente ai magistrati di prima nomina di fare la scelta definitiva dopo aver fatto un po’ di esperienza.
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4) Togliere le firme per la presentazione delle candidature al CSM
Presentata come la panacea per sottrarre le candidature alle correnti, ovviamente è un puro palliativo, perché le correnti si organizzano sul voto, non sulle candidature. In ogni caso è una questione che verrà integralmente superata dalla nuova legge elettorale in corso di approvazione con la riforma.
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5) Avvocati nei consigli giudiziari
Si propone che i membri non togati, cioè avvocati e professori universitari, abbiano diritto di voto sulle valutazioni dei magistrati. La questione è affrontata, meglio, dalla riforma in approvazione. In cui si prevede che gli avvocati abbiano diritto di voto in quanto espressione dei locali consigli dell’ordine, e non come singoli, e che invece il diritto di voto non spetti ai professori universitari, che non ha senso ce l’abbiano visto che non frequentano le aule giudiziarie.
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